Dieta senza glutine, buoni per celiaci e altre polemiche

Da qualche tempo appaiono in siti e rubriche che si occupano di alimentazione, dichiarazioni allarmanti sui prodotti senza glutine. Una preoccupazione legittima, ma che ha una piega che mi ha insospettito, perché sotto sotto, in questi articoli, si metteva in discussione il tema dei buoni per i celiaci.

Le argomentazioni sono varie e articolate.
Si inizia a dire che è si è diffusa la moda della dieta senza glutine, spinta da testimonial famosi come Gwyneth Paltrow, e si tende a mistificare l’alimentazione senza glutine.
Ora, forse io vivo nel paese di Alice, ma non vedo orde di italiani che rinunciano volentieri a pasta, pizza e cornetti.
Il fenomeno “moda” può aver presa forse in un paese come gli USA che ha una cultura più carnivora improntata sulle proteine e vede i carboidrati come nemici da abbattere, salvo poi inventare i cupcakes con  300 g di crema al burro sopra.
Ma in Italia, vi assicuro, la rinuncia alla tagliatella, a seguito di una diagnosi di celiachia, è un piccolo dramma, immaginatevi le nonne armate di mattarello che vedono un mondo di tradizioni scontrarsi con un evidenza clinica.

Se poi vogliamo proprio convincerci che esista la moda del gluten free, allora ben venga, a noi celiaci rende la vita più facile: più consapevolezza da parte di tutti, più opportunità di condividere e mangiare cose buone. E come e cosa mangiare è una scelta di libertà personale.

Altro argomento di cui si sente spesso parlare: la sensibilità al glutine.

Da molti viene negata e associata al fenomeno modaiolo del gluten free, e spacciano i ricercatori che la studiano  come prezzolati per l’industria alimentare.
Il fatto che ci siano persone che soffrono sintomi molto simili a quella scatenati dalla celiachia, pur senza la presenza di anticorpi, e questi sintomi migliorino con una dieta senza glutine, non lo considerano proprio. Per inciso, i ricercatori che studiano la sensibilità al glutine lo fanno da vent’anni e più e chi soffre di sensibilità al glutine attualmente riceve una diagnosi dopo che ogni eventuale malattia o sindrome è stata esclusa.

Però queste stesse persone mostrano una grande preoccupazione per la salute dei celiaci: partendo dal presupposto che i prodotti industriali senza glutine hanno ingredienti poco sani, come l’olio di palma, si sentono legittimati a confinare in un unico calderone tutti i prodotti senza glutine con tutti i loro produttori, reputando i consumatori povere vittime della multinazionale alimentare del male.

Farei due semplici considerazioni:
la prima è che i celiaci stanno imparando sempre di più a leggere le etichette dei prodotti.
Ci siamo abituati a farlo per capire se possiamo mangiare o meno qualcosa, e ormai siamo talmente “ossessionati” dagli ingredienti e dalle sigle, che noi della redazione abbiamo deciso di scrivere un manuale sugli additivi alimentari, che viene scaricato tantissimo, riprova che l’argomento interessa molto.
Dalla mia esperienza e dall’osservazione di quello che accade nel mondo GF mi sento di poter affermare che siamo maggiormente portati a fare scelte consapevoli, e forse abbiamo imparato a esserlo più della media della popolazione glutinosa.

La seconda considerazione è che forse il problema della scarsa qualità di ingredienti nel cibo industriale è ormai globale, perchè ci sono prodotti con glutine, di largo consumo, che hanno gli stessi ingredienti nocivi di quelli dell’industria GF.
L’industria alimentare deve migliorare i prodotti? Sicuramente si, ma si tratta di tutta l’industria alimentare e non solo di industria alimentare senza glutine: è un  problema più vasto e riguarda tutti, perché  bisogna capire con quali ingredienti e in quale qualità potremo nutrirci oggi e domani.

Un altro attacco ai prodotti senza glutine è quello dei prezzi: in Italia sono molto più elevati che in altri paesi.
Se da un lato la premessa è effettivamente corretta, dall’altro lato è facile arrivare a una conclusione, a mio avviso, pericolosa.
Il teorema è più meno il seguente: i prodotti senza glutine sono cari perché esiste un sistema di buoni per i celiaci, passati dallo Stato, che snatura la concorrenza e il mercato.
Si arriva così alla chiusa, alla stoccata finale di tutti questi articoli che in sintesi è questa: togliamo i buoni e avremo un regime di concorrenza e di diffusione dei prodotti tale da far abbassare i prezzi.

Ecco il punto: la preoccupazione è per le casse dello Stato.
Non so quanto incida globalmente la spesa per i celiaci sulla gigantesca voce della salute sulla spesa pubblica, ma credo che sia infinitesimale.
I guasti grandi sono altrove.
Eppure questa spesa, a livello collettivo, è essenziale per i celiaci di tutti i ceti sociali che con questi buoni possono comprare prodotti garantiti.
Perché solo nel paese di Alice e di Candido esiste un sistema di mercato perfetto per cui se si incentiva la distribuzione e la concorrenza i prezzi automaticamente si abbassano.

La realtà è  che esiste un discreto differenziale tra i prezzi dei prodotti senza glutine e quelli con il glutine dato dalla materie prime e dai sistemi di produzione e, per quanto limiamo i prezzi,  per molte famiglie l’acquisto del gluten free senza buoni sarebbe molto complicato, se non impossibile.

I confronti con paesi cone Germania e Inghilterra non hanno senso se non si considera anche il costo della spesa media in alimentazione, la differenza tra uno stesso prodotto con glutine e uno senza, e soprattutto il potere di acquisto dei salari e il salario medio.

Nel nostro piccolo facciamo iniziative per insegnare a mangiare senza glutine senza usare troppi prodotti industriali, come il Gluten Free Friday e i pdf con le ricette con  consigli vari, ma bisogna anche essere consapevoli che non tutti e non sempre hanno il tempo di cucinare, senza contare che ci sono prodotti che non si possono fare in casa:  per esempio la pasta secca.

Questo definire spregiativamente il mercato del senza glutine, il business del gluten free, e confondere le acque, significa mettere in discussione un diritto acquisito, vuol dire ignorare persone che prima della diagnosi hanno sofferto e potrebbero soffrire nuovamente con una dieta superficiale.

Ricordo che chi soffre di sensibilità al glutine, o chi, per ragioni personali, non vuole mangiare con il glutine non ha diritto a nessun buono. In Italia gli unici ad aver diritto ai buoni sono solo i celiaci diagnosticati con biopsia intestinale.

Perché qui sta il vero punto: la celiachia è una malattia, anzi secondo L. 4 luglio 2005, n. 12 pubblicata nella G. U. 7 luglio 2005, n. 156: la malattia celiaca o celiachia è una intolleranza permanente al glutine ed è riconosciuta come malattia sociale.

In quanto malati, i celiaci vanno tutelati.

Dopo la bozza di regolamento del 2011, tanto si è lavorato per arrivare a delle disposizioni per la tutela degli alimenti dei lattanti, ma anche di tutte quelle categorie che rientravano nella dicitura “a fini medici speciali”. Quindi, anche per gli alimenti senza glutine, destinati in primis al consumo dei celiaci e anche al consumo di persone gluten sensitive. Questo regolamento è il 609/2013, che abroga una serie di direttive e regolamenti, tra i quali il regolamento 41/2009 e va a normare anche il precedente regolamento 1169/2011 (informazioni alimentari al consumatore).
Il lavoro che è stato fatto per la codifica di questo documento è immenso. In questo grande lavoro si è impegnata in prima linea anche l’AIC.  Chiaramente, l’inserimento degli alimenti senza glutine come “essenziali per una categoria vulnerabile” non si è fermato lì. I lavori sono infatti proseguiti fino alla codifica del Regolamento di Esecuzione (UE) 828/2014,

che ha sancito il trasferimento delle condizioni di utilizzo delle diciture “senza glutine” e “con contenuto di glutine molto basso” nel Reg. 1169/2011, a partire dal 20 luglio 2016, data di abrogazione del Reg. 41/2009 (dal sito AIC).

Al momento, i regolamenti europei dovranno essere poi recepiti dai governi dei singoli membri della UE e conseguentemente dai loro sistemi sanitari nazionali. Quindi, anche le istituzioni italiane devono trovare gli strumenti legislativi adatti per adeguare la normativa interna italiana ai regolamenti europei; chiaro è che questo lavoro non può prescindere dall’assicurare la completa tutela sia della filiera produttiva sia dei diritti del consumatore celiaco, ivi inclusi i buoni erogati dal sistema sanitario nazionale.

La confusione generata dalle mode alimentari e amplificata da articoli vari che assimilano tali mode o le scelte libere del consumatore all’obbligo di una dieta senza glutine da parte del celiaco – e anche della persona gluten sensitive – è assolutamente deleteria.

Si finisce davvero per chiamare lucciole le lanterne e per dare un nome sbagliato al “nome del nome del nome”. Però noi non siamo Alice e non stiamo guardando attraverso lo specchio; questo è un confronto con la vita reale e non si possono, anzi non di devono mescolare nel calderone diritti dei consumatori, diritti dei celiaci, diritti dei gluten sensitive, diritti del libero mercato e chi più ne ha più ne metta.

C’è davvero bisogno di estrema chiarezza.

Per il momento tenete presente che :

a seguito della diagnosi del medico specialista, il celiaco ha diritto ai prodotti dietetici senza glutine, indispensabili per la sua dieta, rigorosa e irreversibile. Può, quindi, ritirare prodotti nelle farmacie, pubbliche e private, nella GDO (supermercati) e negozi specializzati, fino al raggiungimento di un tetto di spesa mensile, fissato oggi dal decreto del 04/05/06, secondo quanto segue

Fascia d’età Tetto mensile M Tetto mensile F
6 mesi – 1 anno Euro 45,00 Euro 45,00
fino a 3,5 anni Euro 62,00 Euro 62,00
fino a 10 anni Euro 94,00 Euro 94,00
età adulta Euro 140,00 Euro 99,00

I tetti di spesa effettivamente riconosciuti, così come la tipologia dei punti vendita in cui sono disponibili i prodotti senza glutine distribuiti in regime di erogazione gratuita, possono essere differenti a seconda della regione di residenza e della Asl di appartenenza. Pertanto, ogni dettagliata informazione deve essere richiesta all’AIC della regione di residenza.

dal sito AIC

Vi ricordo anche i buoni sono spendibili non solo in farmacia, ma anche in supermercati, negozi on line e negozi dedicati al senza glutine.

In questi post potete avere indicazioni sulla situazione nelle varie regioni:

https://www.glutenfreetravelandliving.it/lacquisto-dei-prodotti-glutine-in-italia-parte-prima/

https://www.glutenfreetravelandliving.it/lacquisto-dei-prodotti-glutine-in-italia-parte-seconda/

e sulla situazione legislativa:

https://www.glutenfreetravelandliving.it/201311la-legislazione-le-etichette-la-celiachia-e-la-glutensensitivity-html-3/

Vi lascio la parola.

Che ne pensate voi di questa vicenda?

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4 Commenti - Scrivi un commento

  1. Molto d’accordo su tutto quello che scrivi, purtroppo però, dopo un primo momento in cui si pensava che non sarebbe successo, le nuove norme Europee hanno escluso i celiaci dalle “categorie vulnerabili” (qui è piegato abbastanza bene http://www.celiachia.it/NORME/Norme.aspx?SS=346&M=1041 )
    Quindi forse dovremo lottare un po’ più di prima a salvaguardia di diritti essenziali che qualcuno mette in discussione!

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  2. Anna Lisa Iacobellis

    Simonetta hai fatto una analisi completa e inattaccabile a mio avviso su ogni fronte.
    Le polemiche non portano a nulla se si deve già fronteggiare una difficoltà quotidiana oggettiva.
    Speriamo lo leggano in tanti!

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  3. io sono una persona con sensibilità al glutine , dopo vari esami , ed prove fatte nel reparto di gastroentoreologia della mia città dove viene stabilito che non è solo il glutine che può darmi problemi ma tutti gli alimenti ricchi di fodmaps cioè zuccheri fermentabili , mi viene vivamente consigliato di eliminare il glutine dalla dieta ed evitare gli alimenti contenenti Fodmaps , se non voglio avere problemi di mal di testa cattiva digestione dissenteria alternata a stitichezza mal assorbimento degli alimenti anemia ecc tutti sintomi che riscontra anche un ciliaco , ma per noi , eravamo in tanti in ospedale con questa diagnosi , non c’è diritto al buono ,e per me è un ingiustizia , perché incide sulla spesa famigliare

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