Spreco alimentare e confezionamento: esiste una relazione?

 

 

Spreco alimentare e confezionamento: esiste una correlazione tra queste due realtà?

In teoria il confezionamento dei prodotti alimentari dovrebbe aiutare a ridurne lo spreco: l’obiettivo principale del package è quello di mantenere il cibo in ottime condizioni per un tempo sempre più lungo e in porzioni che evitano lo spreco.

Secondo Marco Sachet, direttore dell’Istituto Italiano Imballaggio:

“Il packaging è uno degli strumenti fondamentali di prevenzione contro lo spreco di alimenti, come afferma e dimostra la FAO. Nei Paesi in cui mancano le tecnologie per contenere, proteggere, conservare ma anche trasformare e trasportare gli alimenti di base, questi vanno perduti fino al 90% prima di poter essere fruiti”.

Ma è proprio così?

Partiamo dall’inizio, da dove e come si fa la spesa.

Secondo un’indagine sui comportamenti di acquisto degli italiani realizzata nel 2015 dall’Osservatorio Nazionale sullo spreco Waste Watcher  con l’Istituto Italiano Imballaggio in collaborazione con il Ministero dell’Ambiente nell’ambito del progetto “Reduce”,  il 90% della spesa viene fatta nei supermercati o ipermercati, solo il 9% degli italiani acquista nei piccoli negozi o dal produttore.

La spesa è quotidiana si rinnova ogni 2/3 giorni (69%), il 27% degli italiani fa una grande spesa settimanale.  Le confezioni si preferiscono piccole (64%) per prevenire lo spreco che infatti colpisce in prevalenza le confezioni grandi aperte da tempo (62%).

Potremmo affermare che dal lato del consumatore italiano ed europeo una certa attenzione allo spreco alimentare è consolidata, ma la realtà è che il confezionamento usato e promosso dalla grande distribuzione e  dall’industria producono un devastante effetto collaterale dello spreco di cibo: una gran quantità di materiale di confezionamento da smaltire e riciclare.

Avete fatto caso alla quantità di pattumiera si genera solo aprendo le confezioni e buttandole via?

La gran parte delle confezioni alimentari è fatta di plastica: il packaging rappresenta il settore che la utilizza di più, con il 39,9 per cento è il principale mercato delle materie termoplastiche in Europa, seguito dall’edilizia con il 20 per cento e dal comparto automotive il 10 per cento.

Il risultato è che ogni anno si immettono nel mondo oltre 300 milioni di tonnellate di plastica, quasi quanto il peso di 43 Piramidi di Cheope.

In base a «Unwrapped», l’ultimo rapporto di Friend of Earth Europe e Zero Waste Europe riuniti nell’alleanza Rethink Plastic, gli imballaggi di plastica in realtà hanno fatto aumentare lo spreco alimentare.

Secondo lo studio dedicato alla spreco alimentare e al confezionamento, le soluzioni per l’imballaggio sono più guidate dagli obiettivi di marca e di vendita piuttosto che dalla riduzione degli sprechi. L’industria alimentare e la grande distribuzione hanno favorito la riduzione delle porzioni o le confezioni multiple, che, se da una parte ottimizzano e rendendo più efficiente anche la gestione dello spazio nel trasporto delle merci e quindi riducono le emissioni, dall’altro comportano una proliferazione delle confezioni, un sovra confezionamento che porta comunque ad acquistare di più e a sprecare il cibo e nella stragrande maggioranza dei casi le confezioni non sono riciclabili e usabili.

 

PlasticsEurope,l’associazione europea dei produttori di materie plastiche, ha calcolato che nel 2016, su oltre 27 milioni di tonnellate di rifiuti plastici raccolti, solo il 31% è stato riciclato, del rimanente il 41,6 per cento è stato avviato al recupero energetico e il 27,3 per cento è finito in discarica.

Unico dato positivo è che a livello di media Europea ci stati più i rifiuti di plastica riciclati di quelli portati in discarica rispetto agli anni precedenti.

Il Commissario Europeo per la crescita, Elżbieta Bienkowska, riguardo lo spreco alimentare e il confezionamento ha dichiarato:

 

“L’’obiettivo della Commissione è di arrivare entro il 2025 a 10 milioni di tonnellate di plastica riciclata impiegate per produrre nuovi prodotti. È un target ambizioso, ma lavorando insieme all’industria europea, sono convinta che possiamo fare in modo che ciò diventi realtà, a beneficio di tutti. L’economia circolare è questo”.

Come realizzare l’obiettivo è oggetto di studi e ricerche, e a carico dell’industria della trasformazione delle materie plastica c’è l’onere della soluzione di un’equazione a più incognite: innovazione, mercato e occupazione. In Europa è un’ industria formata  da una galassia di 50.000 imprese di piccole e medie dimensione che da lavoro a 1milione e 600 mila addetti.

Ovviamente gli attori in questo processo sono tantissimi, innanzitutto si deve operare a livello politico ed istituzionale per mettere a punto un insieme di strumenti legislativi che aiutino a rendere operative le azioni contro lo spreco, come l’eliminazione delle confezioni singole e lo sviluppo di imballaggi riutilizzabili e altamente riciclabili.

Una delle sfide è quella di incoraggiare le start up innovative che operano in un’economia circolare e che proprio dagli scarti alimentari trovano la soluzione per produrre package innovativi e altamente biodegradabili.

Un numero sempre più crescente di imprenditori e ricercatori si sta concentrando nel trasformare gli scarti della priduzione alimentare come funghi, latte, alghe, bucce di pomodoro o altri ortaggi in un prodotto che sostituisce la plastica e altri materiali da imballo.

Sono tutte soluzioni che ancora sono considerate purtroppo ancora poco attraenti dal punto di vista della redditività dall’industria alimentare e dalla grande distribuzione, e devono dimostrare di essere efficaci, ma quella è la sola strada percorribile se si vuole avere un prodotto protetto e sicuro e non produrre materiale plastico di scarto.

In Italia, una società spin off dell’Università di Modena e Reggio Emilia, la Packtin srl, ad esempio, sta facendo sperimentazioni avanzate sulla trasformazione degli zuccheri, vitamine, fibre e polifenoli dei prodotti alimentari scartati in film plastico biodegradabile al 100% ed edibile. Sempre dagli scarti alimentari ricava additivi antimicrobici completamente sicuri e biodegrabili per allungare la conservazione degli alimenti e renderli più sicuri. La società è attualmente in cerca di finanziamenti per poter avviare la produzione e trasformare un progetto accademico in una reale e concreta soluzione utile a tutti.

La start up ha preso il premio “BEST SOLUTION FOR A BETTER WORLD” al Seeds&Chips di Milano, il Summit sull’innovazione nel food che si è tenuto a Milano a maggio.

La riduzione dello spreco e dell’invasione di plastica deriva, in definitiva, da un cambio di mentalità di tutti: da chi compra e dovrebbe essere cosciente di quanto compra e come lo conserva, da chi produce e chi investe.

La strada è lunga e i tempi sono stretti: si calcola che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci nel mare.

E di questo dovremmo essere tutti coscienti quando facciamo la spesa al supermercato.

 

Fonti:

Progetto Reduce: http://www.sprecozero.it/cose-il-progetto-reduce/

Friend of Earth Europe: http://www.foeeurope.org

The Packaging Community: http://thepcmag.istitutoimballaggio.it/2018/05/25/le-risposte-dellindustria-alla-plastic-strategy-europea/

 

 

 

 

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  1. Nell’industria alimentare, settore nel quale operiamo, viene spesso usata la tecnica del confezionamento in atmosfera modificata al fine di estendere la shelf life del prodotto. Quì lascio un approfondimento su questa tecnologia.

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