Sostenibilità alimentare e Expo 2015

La sostenibilità alimentare e l’Expo 2015 sono strettamente abbracciati.

La sostenibilità alimentare è infatti uno dei concetti chiave dell’Expo 2015 e non solo; già alla conferenza sull’alimentazione organizzata dalla FAO e tenutasi a Roma a fine del 2014, come anche al Salone del Gusto 2014, tenutosi a Torino, la sostenibilità alimentare è stata il centro dell’attenzione.

Cosa è la sostenibilità alimentare, o meglio cosa si intende con sostenibilità alimentare?

Partiamo da cosa si intende per sostenibilità (da Wikipedia):

“la caratteristica di uno stato che può essere mantenuto ad un certo livello in maniera indefinita”.

In maniera indefinita o quasi, perché diverse variabili possono mutare il livello e conseguentemente anche lo stato.

Quando comperiamo un pacco di caffè o un pacco di farina, ce la dobbiamo porre la domanda “ma la sostenibilità alimentare?”. Sì, dovremmo porci questa domanda, però, prima di ogni altra cosa dovremmo porci la domanda “ma la sostenibilità ambientale?”. Se non c’è un ambiente dove coltivare o dove allevare e se non c’è acqua per irrigare o da bere, non c’è sostenibilità né alimentare né ambientale.

Un esempio di come le problematiche ambientali e quelle alimentari siano così strettamente intrecciate, da compenetrarsi l’una nell’altra, è l’olio di palma (del quale abbiamo parlato in precedenza). Un altro esempio, che sfiora il paradosso, è ciò che sta accadendo in Australia, dove la richiesta elevata di ortaggi e frutta, dettata dalle modalità di alimentazione in continuo cambiamento, necessita di terreni ad uso agricolo; quindi, si ampliano i terreni agricoli e si cambiano le modalità di raccolta, ma così facendo sparisce l’habitat di tante specie animali, dagli insetti ai piccoli roditori, creando poi delle ripercussioni su tutta la rete alimentare e su tutto l’ambiente. Il paradosso è che nel voler mangiare più verdura e frutta alla fine determina la morte di molte specie animali (N.d.A. questa è la teoria del prof. Archer). Chiaro è che questo paradosso è al momento completamente australiano, chiaro che è che questo paradosso ha generato un dibattito infuocato in Australia, ma chi può affermare che attualmente non ci siano in altre parti del nostro globo paradossi simili?

Attenzione! Non si tratta di dire che cosa è giusto o cosa è sbagliato, ma di pensare, di informarsi e pensare.

Facciamo un altro esempio. Tra i capisaldi della sostenibilità alimentare c’è il non sprecare il cibo, imparare a riutilizzare gli scarti, comperare a km 0, biodiversità, biologico, ecc.. Non sprecare il cibo è un imperativo categorico kantiano, ma ha bisogno di fondamenta: l’educazione alimentare. Diverse catene di supermercati in diverse nazioni in Europa, ma anche negli USA, hanno la possibilità di vendere scontati i cibi prossimi alla scadenza, che altrimenti finirebbero in pattumiera; è un trend in aumento. In Italia, culla del buon cibo, di eccellenze gastronomiche che in tutto il mondo sono invidiate e imitate, nelle scuole si fanno sempre più strada i programmi di educazione alimentare, come ad esempio il progetto frutta a merenda. Ce n’era bisogno? Quanto e soprattutto come sono cambiati gli stili alimentari dei cittadini italiani? Un interrogativo su cui riflettere attentamente, sperando però di non arrivare alla (de)generazione delle mele, imbustate una per una e magari aromatizzate alla papaya, al chewing gum, ecc. ecc..

Come il riciclo dei materiali è importante per l’ambiente, imparare a riutilizzare gli scarti è una cosa che sapevamo fare, ma che abbiamo dimenticato. Per chi ha i nonni ancora in vita, li ascolti raccontare come si cucinava e cosa si cucinava: degli ortaggi nulla o quasi veniva buttato, ciò che noi definiamo come buttato in realtà era poi cibo per gli animali, per coloro che vivevano in campagna, o diventava concime. Nel dopoguerra, certi costumi “campagnoli” per necessità vivevano anche nelle città, ma poi sono andati perduti nell’oblio. Adesso si stanno recuperando. Ma non sono una novità, sono una riscoperta. In più, ricordiamoci sempre che in molte delle nostre città la cosiddetta raccolta dell’umido serve a riciclare scarti alimentari per farne concime (compost), che può poi essere riutilizzato nei giardini o negli orti.

Comperare a km 0 perché? Perché se un sistema alimentare deve essere sostenibile deve avere un basso impatto in termini di carbon footprints, ovvero le impronte di carbonio. Le carbon footprints servono per il calcolo delle emissioni dei cosidetti gas serra, ovvero di tutti quei gas, come l’anidride carbonica, e di tutti quei composti, come gli ossidi di zolfo e di azoto, che sono poi responsabili dell’innalzamento della temperatura e del cambiamento climatico globale (global climate change). Ma le carbon footprints vanno calcolate lungo tutta la filiera, ovvero dalla semina al consumo, passando per il trasporto. Ognuno di noi contribuisce alle carbon footprints e diminuirle significa essere un po’ più sostenibili! Sapere non soltanto come è fatto ciò che metterò in tavola, ma anche da dove viene è quindi importante. Non dimentichiamo che circa il 60 % delle carbon footprints di ognuno è dovuto alle scelte alimentari. Nel mercato globale il comperare a km 0 sembra quasi un ossimoro, perché significa tornare al regionale, al locale, ma questo significa “sostenere” la sostenibilità alimentare.

Il comperare a km 0 è strettamente legato sia alla stagionalità sia alla biodiversità. La stagionalità è fondamentale, rispettare i cicli stagionali è rispettare l’ambiente, ma è anche rispettare la biodiversità: ogni cultivar non solo ha il suo luogo, ma anche il suo momento. Quindi, se in inverno, trovandomi nell’emisfero boreale, mi trovassi di fronte ad un cestino di fragole e ad un sacchetto di mele fuji, dovrei poter fare una scelta sostenibile – e so che non rinuncerei al gusto.

Altro caposaldo è la coltivazione biologica, che è attualmente più sulle pagine dei giornali che sul campo, poiché si sta assistendo ad una industrializzazione della coltivazione biologica, come è accaduto in passato per l’industrializzazione della coltivazione tradizionale.

Siamo in tantissimi su questo globo, dovremmo poter nutrirci tutti, anche se suona utopistico. La sostenibilità alimentare deve essere davvero la rappresentazione de In medium stat virtus. Chiaro che bisogna essere realisti e non sognare un ritorno ad Arcadia o all’Eden, ma si può pensare, come è stato evidenziato al Salone del Gusto 2014 e come Slow Food sostiene da tempo, di tornare a sistemi di produzione agricola localizzati, che valorizzino i cultivar locali, facendo questo però con il know how attuale, senza demonizzazioni.

Insomma, la sostenibilità alimentare è parte di una ragnatela, la cui trama dovremmo imparare a conoscere; invece di essere le mosche che cadono in trappola, sarebbe bene che di questa ragnatela conoscessimo bene la trama, al di là di ogni slogan e di ogni fad (moda alimentare).

 Mike Archer, The Conversation, 2014

 Mike Archer, The Science Show 2013

Biologico è meglio

Gli oli di palma e colza dannosi per la salute

Terra Madre e Slow Food il Salone del Gusto 2014 a Torino 

www.valorealimentare.it

urbanpost.it

www.welcomeweight.it

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