Eucaristia e ostie senza glutine

Oggi, Domenica delle Palme, facciamo il punto sull’eucaristia e le ostie senza glutine

La Chiesa Cattolica comincia a mostrare interesse per il problema dell’eucaristia senza glutine all’inizio degli anni ’80, in concomitanza con i primi studi sulla gluten sensitivity e sui meccanismi ezio-patogenetici della celiachia.
Le norme attuali in materia discendono dalla regolamentazione del 1994, anno in cui la Congregazione per la Dottrina della Fede approvava e divulgava un documento che chiarisce le condizioni di validità dell’eucaristia e le modalità per accostarsi alla Comunione. Si vietava tassativamente l’impiego di ostie completamente prive di glutine, ma si concedeva ai celiaci, previa presentazione di certificato medico, la licenza di assumere particole con una quantità di glutine bassa ma comunque sufficiente per poter ottenere la panificazione (durante l’Ultima Cena Gesù ha infatti consacrato pane). Tale concessione, tuttavia, oltre a non fornire indicazioni precise su quanto basso potesse essere il quantitativo di glutine, aveva conseguenze fattuali praticamente nulle, data la difficoltà di reperire sul mercato ostie diverse da quelle comunemente usate.

La normativa rimaneva sostanzialmente immutata nella Lettera del 2003, che ribadiva il divieto di utilizzare particole senza glutine e, perdurando l’assenza sul mercato delle ostie a basso contenuto di glutine, invitava i fedeli intolleranti a comunicarsi sotto la sola specie del vino (cioè, in parole povere, ad assumere il sangue di Cristo ma non il suo corpo, con tutte le difficoltà di una simile restrizione per astemi e bambini).
Comunque il documento del 2003, nel complesso, mostrava maggiore sensibilità e apertura rispetto alle disposizioni del ’94. Suggeriva infatti ai sacerdoti le procedure da seguire per scongiurare le contaminazione, esortando i Presidenti delle Conferenze Episcopali a seguire lo sviluppo della medicina nel campo della celiachia e a favorire la produzione di ostie a ridotto contenuto di glutine.

Da che cosa deriva la reticenza della Chiesa verso l’introduzione di particole completamente prive di glutine?

La questione è più complessa di quanto potrebbe sembrare, e ha origini remote. Durante il Medioevo si accese la cosiddetta controversia sull’Eucaristia, uno dei dibattiti più vivaci che la storia della filosofia e della teologia possano annoverare. Ciò di cui si discuteva era se la presenza del corpo di Cristo nella materia del sacramento eucaristico fosse soltanto simbolica o, al contrario, reale, fisica.
Ricorrendo a stringenti argomentazioni logiche, nel primo caso si sosteneva che il pane e il vino conservano la loro natura anche dopo la consacrazione, pertanto la presenza del Cristo in essi è soltanto spirituale. Nel secondo caso, invece, si riteneva che con la celebrazione eucaristica si compiesse una vera e propria transustanziazione (= transizione di sostanza): la sostanza di Cristo trapassa realmente nel pane e vino, che dunque perdono la loro natura di pane e vino (pur restando invariata la loro apparenza fenomenica) per convertirsi in una materia altra, cioè nella carne e nel sangue di Cristo. La disputa si trascinò fino al 1551, anno in cui il Concilio di Trento pose fine alle controversie esprimendosi a favore della transustanziazione: “sotto le specie consacrate del pane e del vino Cristo stesso, vivente e glorioso, è presente in maniera vera, reale e sostanziale(le cose stanno diversamente, invece, per la dottrina protestante).

E qui veniamo al punto: alcuni teorici hanno osservato che, volendo interpretare alla lettera l’ortodossia sancita dal Concilio, per effetto della consacrazione eucaristica il pane non è più pane, bensì carne, e dunque il consumo della particola tradizionale da parte del fedele celiaco o intollerante non comporta alcun rischio per la sua salute.

Fortunatamente, la posizione ufficiale della Chiesa cattolica ha mostrato di non sottoscrivere conclusioni di questo tenore, e l’apertura alle ostie con basso contenuto di glutine ne è testimonianza. Nella pratica sacerdotale, però, non tutti hanno accolto favorevolmente questa “rivoluzione” o vi hanno prestato la dovuta attenzione, rendendo di fatto impossibile a molti intolleranti di accostarsi all’eucarstia. Per disinformazione o per conservatorismo, i rappresentanti dell’istituzione ecclesiastica non hanno sempre agito in maniera conforme alle nuove misure (qui uno dei casi che hanno sollevato polemiche e indignazione).
Rimane fermo ancora oggi, inoltre, che una certa quantità di glutine debba comunque essere presente, sulla base dell’assunto – tutto da dimostrare – che il pane maneggiato dal Cristo durante l’ultima cena fosse a base di amido di frumento e che una particola priva di grano invaliderebbe la comunione eucaristica.

Ma c’è di più: un utile dossier della Commissione liturgica della Regione Piemonte e Valle d’Aosta spiega che il frumento e il pane di frumento hanno, nelle Sacre Scritture e nella simbologia biblica, una valenza fondamentale. La stessa Palestina viene descritta come “terra di frumento, orzo, viti, fichi e melograni” e il pane rappresenta il cibo fondamentale dell’Israelita.

Per tutte queste ragioni, allo stato attuale le ostie da consacrare devono contenere glutine, almeno in una percentuale minima.

Ma qual è questa percentuale? Quanto glutine deve contenere una particola per poter essere tranquillamente assunta da un soggetto celiaco o allergico/intollerante/sensibile al glutine? La risposta è semplice, essendo validi gli stessi parametri che la comunità scientifica ha stabilito per qualsiasi altro alimento: un’ostia consentita deve avere un tenore residuo di glutine non superiore a 20 mg/kg. Particole che rientrano in questi valori sono classificate come senza glutine e possono essere assunte senza rischi dal celiaco (riflessioni più dettagliate qui).
Considerato che il quantitativo di particola assunto dal fedele è, in genere, veramente basso (sia per il peso dell’ostia che per la frequenza con cui ci si comunica) la sezione FAQ del sito AIC precisa che sono considerate idonee anche le ostie che hanno un contenuto massimo di 100 mg/kg, classificate come con contenuto di glutine molto basso (si raccomanda comunque ai soggetti particolarmente sensibili che si comunicano ogni giorno il confronto con il proprio medico curante).
Qualsiasi prete è tenuto a consentire la comunione ai celiaci, purché si utilizzino prodotti che rientrano in una di queste due categorie.

Sempre l’AIC ha suggerito le precauzioni da adottare per evitare contaminazioni durante l’eucaristia e ha stilato un elenco delle particole idonee presenti sul mercato. Anche in questo caso, comunque, valgono le medesime regole in vigore per tutti gli altri alimenti: un prodotto è idoneo se esibisce il simbolo della spiga barrata, e/o se è presente sul prontuario AIC e/o se riporta, oltre all’elenco degli ingredienti, la dicitura senza glutine. Qualsiasi altro prodotto è da considerarsi a rischio (non è quindi sufficiente che tra gli ingredienti riportati sulla confezione delle particole non figuri la farina di frumento).

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